ARTE E FEDE - CARINI
ORATORIO DEL SANTISSIMO SACRAMENTO
Su espressa richiesta del Barone di Carini Vincenzo II La Grua Talamanca e di Fra Matteo Iannello, Vicario Foraneo della Curia di Carini, il Vescovo di Mazara inoltrava al Pontefice Paolo IV la richiesta di istituire a Carini una Compagnia del Santissimo Sacramento. Il breve Pontificio che ne autorizzava l’istituzione è del 1 luglio 1557 e vide numerose adesioni da parte dei carinesi più facoltosi. La Compagnia aveva come scopo primario la diffusione del culto dell’Eucaristia in contrapposizione alle eresie luterane, come stabilito nel Concilio di Trento che vedrà la sua conclusione dopo circa 20 anni nel 1563. La sede provvisoria della Congregazione fu all’interno della Chiesa Madre, in quell’area oggi occupata dalle ultime tre cappelle a sinistra guardando l’altare, con ingresso in quello che oggi è l’altare del Sacro Cuore, un tempo dedicato a San Sebastiano. Le cospicue rendite ed i numerosi legati testamentari fecero ben presto della Compagnia del SS. Sacramento una delle confraternite più ricche e questo fece sì che agli inizi del 1600 si potesse permettere la costruzione di una nuova sede. Alla fine del 1600 si stabilì di decorare ed arricchirne gli spogli locali. Seguendo l’esempio degli oratori palermitani il nostro fu interamente decorato in stucco e probabilmente l’incarico fu affidato a Giacomo Serpotta ed alla sua scuola, dato confortato dall’impostazione scenica degli stucchi e dal serpentello che il Serpotta usava lasciare tra le sue opere quale firma (è possibile osservarlo sopra le maschere allegoriche della finestra a destra in prossimità dell’altare).
Entrando dalle due porte di legno scolpite, opera di autore ignoto del XVII sec., si entra nel vestibolo, dove i Confratelli spogliandosi dei propri abiti simboleggiavano la purificazione dai peccati. Qui trova posto la lavagna della Madonna del Monserrato opera su ardesia di Giovanni Battista Arena del 1605. Altre due piccole porte ci immettono nell’Oratorio, dove si rimane colpiti dai candidi stucchi abbinati agli affreschi, questi ultimi probabile opera del messinese Filippo Tancredi e del palermitano Filippo Randazzo. Al centro dell’arco centrale, che sovrasta l’unico altare, troviamo l’apoteosi dell’Eucaristia, rappresentata dal calice e l’ostia dorati al centro di una maestosa corona sorretta da angeli. Appena entrati dal vestibolo, in senso antiorario partendo da destra, sul cornicione sopra la panca in noce, dove prendevano posto i confratelli, vi sono otto statue allegoriche che rappresentano: la Chiesa, la Temperanza, la Giustizia, la Speranza, la Fede, la Carità, la Fortezza e la Prudenza . Tre raffigurano le Virtù Teologali: Fede (presentata con i simboli eucaristici), Speranza (con l'ancora speranza di salvezza) e Carità (rappresentata da una matrona che allatta il figlio, nella similitudine del latte materno all'Eucaristia cibo dell'anima); quattro raffigurano le Virtù Cardinali: Prudenza (con i simboli del cilicio e della Croce), Giustizia (con la spada ed un tempo la bilancia), Fortezza (che stringe una robusta colonna) e Temperanza (raffigurata come una donna che versa dell'acqua in un braciere), per ultima una che raffigura la Chiesa, con la tiara papale rappresentante il Triregno Papale (Padre dei principi e dei re, Rettore del mondo, Vicario di Cristo in Terra) unica depositaria e custode del dogma eucaristico. Sotto ogni finestra, su piccole mensole, trovano posto sei scene raffiguranti i principali miracoli eucaristici. Sempre partendo da destra troviamo: Melchisedech offre a Dio il pane ed il vino, il Santo Viatico, il Miracolo della mula e Sant’Antonio da Padova (con la mula digiuna da tre giorni che preferisce l’Eucaristia alla biada), il Miracolo di Bolsena (con l’ostia che stillò sangue significando il rinnovo del sacrificio eucaristico di Gesù), il Miracolo di Torino (con l’ostia sospesa in aria dopo il furto dell’ostensorio da una chiesa) e San Pasquale Baylón con il gregge. I candidi stucchi della volta sono impreziositi dagli affreschi che raffigurano personaggi legati all'Eucaristia. Al grande affresco del “Trionfo dell’Eucaristia e il trionfo dell’anima del confrate ’’ fanno da cornice i quattro Evangelisti; i quattro Re del Vecchio Testamento: David, Salomone, Asa e Iosaphat; quattro delle dodici Sibille (corrispettivo pagano dei dodici Profeti del Vecchio Testamento): Cumea, Frigia, Libica e Delfica. Nei due piccoli tondi contrapposti osserviamo Mosè e Melchisedech. Nel presbiterio, oltre la tela dell’ Ultima Cena, probabile opera di Pietro d'Asaro detto il “monocolo di Racalmuto’’ e genero di Giuseppe Salerno “lo zoppo di Gangi’’, abbiamo due grandi tele con “Elia che riceve il pane da un Angelo’’ e “la moltiplicazione dei pani e dei pesci’’, mentre la piccola volta è arricchita dagli affreschi raffiguranti i primi tre grandi Patriarchi: Abramo, Isacco e Giacobbe.
Al centro dell'arco capeggia una frase di San Giovanni Crisostomo: “Cogita quali mensa fruaris’’- “Pensa bene a quale banchetto ti accosti’’. Il putto sull'aquila ci ricorda il Vangelo secondo Giovanni, ovvero l’uomo che si rinnova alle sorgenti dello spirito. Il cartiglio sorretto dall’acquila invita al silenzio per la contemplazione del mistero eucaristico.